Un produttore italiano di saponi solidi di alta fascia di prezzo scrive che «la Saponificazione Marsigliese (tecnica risalente al XIV secolo) ha permesso di ottenere saponi qualitativamente di gran lunga superiori, rispetto a quelli derivati dalla saponificazione per impasto a freddo, utilizzando la potassa.»
Non ha importanza il soggetto e non viene indicata la fonte perché interessa chiarire un concetto.
Premesso che il metodo cosiddetto “marsigliese” in realtà copiava un metodo inventato dai saponieri liguri già alla fine del Trecento e che ancora nel Cinqucento le saponerie marsigliesi definivano i loro prodotti come saponi “à la mode de Genes”. Che quello “marsigliese” sia un metodo qualitativamente superiore rispetto ad altri metodi, era forse vero cinque secoli fa, non certamente oggi. Il metodo nasce, infatti, dall’esigenza dell’epoca di ridurre al minimo le impurità che restavano nei saponi. Ogni famiglia si fabbricava il proprio sapone in casa con i grassi che aveva a disposizione, usando la soda caustica derivante dal trattamento della cenere. I marsigliesi iniziarono ad usare un’alga marina, chiamata salicornia, diffusa in quelle zone neanche tanto “eccellente”. Nel libro “Storia delle piante forastiere le più importanti nell’uso medico, od economico” di Alfonso Castiglioni, Luigi Castiglioni, Carlo Onofrio Mozzone e Paolo Brambilla, nel 1794 è scritto: «Anche la soda, che si ricava dalla Salicornia Berbacea, detta dai francesi marie, è assai inferiore alle altre; poiché quantunque vi si trovi l’alcali minerale, esso è però talmente legato coll’acido falino, che non vi si distingue, e le sue ceneri non presentano che un sale da cucina.»
Il metodo, come detto, permette di eliminare tutte le impurità ma anche di risolvere un problema non secondario all’epoca: usando grassi diversi, e spesso di scarto, era difficile calcolarne il coefficiente di saponificazione. Inoltre c’erano problemi di stechiometria industriale: difficoltà tecniche di pesare esattamente le basi, oltre alla quasi impossibilità di accedere a basi con titolo costante. Con il metodo marsigliese, le sue lunghe cotture ed il lavaggio, si ottiene un sapone puro e neutro al quale successivamente aggiungere eventuali altri grassi in surgrassaggio, più la glicerina già separata dalle prime fasi e l’eventuale profumazione.
Oggi tutti questi problemi sono superati ed è possibile usare grassi e oli di partenza molto puri, calcolare con esattezza il loro coefficiente di saponificazione, avere a disposizione diversi tipi di basi a titolo noto, poterli pesare con precisione elevata. Tutto ciò permette di usare acidi grassi diversi a seconda degli scopi per cui il prodotto finale è destinato, e permette inoltre di usare a proprio favore lo sconto degli alcali evitando il surgrassaggio. Infine tutta la glicerina, come sottoprodotto della saponificazione, resta nel sapone.
Tutto questo non significa che i saponi prodotti con metodo genovese (o “marsigliese”) siano migliori (o peggiori) di altri, dipende dagli ingredienti e dalle tecniche usate caso per caso.
Armando Ilič Misasi, 7 novembre 2018